nucleare

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vivi la città prima della rete

forse si rimarrà ancora per molto mimetizzati tra le pieghe della quotidianità e                      ci si nasconderà tra fiumi di chiacchiere banali,                                                                  confondendoci nel normale… ma,
prima o poi,
ci muoveremo….
sotto gli occhi del loro stupore.

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carogne on tour un anno fa…

Diano- Roma-Taranto- Lecce e di nuovo Diano tutto in 4 giorni…delirio,  è stata un esperienza illuminante.
Mi si è aperto un mondo: il sud e i suoi tempi rilassati, i paesaggi quieti e le persone “agrodolci”…il vino che non ti lascia il mal di testa post sbronza e il mare che sembra sussurrarti “guardami”…
Costeggiando il mare, nei pressi di Maglie, mi sono lasciata scivolare con la mente sui prati morbidi, incastonati di pietre bianche che sembrano animali a riposo, ho respirato il sole che tagliava l’aria ancora fresca e accarezzava gli occhi, i miei, così infantili nell’ammirare la Bellezza, mi sono abbandonata mollemente alle mie assillanti domande ma  senza nessun residuo dell’ansia che spesso mi assale quando tento di dare risposte…ascoltavo semplicemente questi soliti quesiti infiniti e li guardavo galleggiare in un tramonto fatto di vocali mascherate di stupore. Un carnevale di quiete- armata.

E pazienza se alla fine non è arrivata nessuna risposta… non ci credo più alle risposte o forse ho sempre finto di crederci. In verità so che le risposte infondo sono solo  domande travestite, porte che si aprono su altre porte.Da bambina, del resto,il mio gioco preferito era modellare la pasta di sale,(quella che ti si attaccava alle dita se sbagliavi i dosaggi e che per liberartene dovevi appiccicarla a tutti i mobili della casa) rimescolare e dare allo stesso pezzo  mille e mille forme d’esistere. Ora sono cresciuta e gioco ad imbrattare la mente con le parole, le domande, le idee, per scovare  sempre nuove  possibili sfaccettature, che si richiamano, si respingono e si interrogano a vicenda aprendo un vortice di curiosità che spinge a continuare la ricerca sempre e comunque, oltrepassando i fallimenti.
Mi chiedo spesso, ripensando al tour con le carogne, com’è stato possibile che un semplice viaggio mi abbia reso così felice dell’esistenza di tante cose che ancora non conosco, di luoghi, posti e  facce da vedere, vivere,incontrare;  di paesaggi e tramonti e cieli da assaporare, gustare,  ammirare; situazioni da leggere, non solo nelle pagine di un libro, ma soprattutto tra le loquaci pieghe di questo  mondo (solo in apparenza muto), tra le righe della storia che trasuda dalle cose. Prendi i trulli ad esempio,   stanno li, silenziosi e raccolti,  nati per accogliere vecchi contadini che si riposano dopo aver bagnato di sudore la terra,  sono templi senza età, testamenti di vite consumate da quel vento che disegna le scogliere e che ,come un’innamorato respinto, stupra la splendida pietra bianca di cui le case sono vaghe impressioni.

Concludo, concludo ma potrei scriverne per ore di quel viaggio a cui ripenso spesso e che non so ancora quanto abbia  inciso sulle mie  successive scelte di vita. Quanto  abbia davvero contribuito a riscoprirmi, a liberare dalle forzature di quell’anno a genova la mia testa, il mio orgoglio e le mie idee a cui avevo troppo fatto violenza, incatenandole in foto sbiadite di me stessa che tanto piacevano a certe persone. Infondo non mi importa, ciò che davvero conta è che sicuramente mi ha aiutato a ritrovare  la “curiosità infantile” che ci da la forza per affrontare il mondo rimanendo se stessi,  anche a costo di essere soli perchè non conformisti  e riscoprire così il piacere di vivere la vita come se si fosse sempre  in prima linea.  ( carletto lo sa meglio di tutti  visto che a  lecce l’abbiamo dimenticato ubriaco nel furgone mentre noi tutti siamo andati a dormire in casa di amici: la mattina dopo era un vero guerriero!)

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l’uomo comune abita ad imperia.

Vivo in una città  dove la piazza in centro si affolla esclusivamente il sabato pomeriggio ,  anzi direi quasi che viene invasa, travolta e soffocata da una umanità preconfezionata in serie. Tutti la stessa faccia spenta, tutti accartocciati  nei  vestiti più In, tutti che comunicano tra loro con la moderna metodologia  facebookiana di discutere e di socializzare.  Soli nel loro stare insieme, portatori di un individualismo senza velleità rivoluzionarie, un “essere per se”  imposto e non vissuto, vuoto di senso. La verità è che non hanno più la capacità di scandalizzarsi, di inorridire, di emozionarsi. Ogni cosa è indifferente e tipizzata. Le uscite, come il lavoro, sono scandite da ritmi, percorsi e gesti ben ordinati ed abitudinari: i posti più di moda a seconda del gruppo-reparto di appartenenza, gli orari idonei per iniziare l’uscita-turno, e l’abbigliamento consono ad ogni luogo- settore da frequentare: “eccoli tutti soggiogati dalla  626 per manovali del tempo libero!(riccardo r.)”
Idee poche e standardizzate in slogan da manifesti elettorali, tra cui si sceglie quello più adatto alla situazione del momento. In questo periodo, ad esempio, va tanto di moda sottolineare il proprio rifiuto a solidarizzare con gli immigrati ed allora volano frasi tipo”tornate a casa vostra”, “puzzate”, “marocchini di merda”(anche se si tratta di indiani!) o, dalle frange piu colte(!) ,si puo sentire anche ” vogliamo l’immigrazione controllata”, “no al voto agli immigrati” e “se avessi una pistola…”
Io vivo in questa realtà urbana in cui mi aggiro in punta di piedi, sperando sempre di non ritornare a casa  con la stessa voglia di piangere e vomitare, con lo stesso disgusto per la banalità dilagante, per la stupidità, ormai endemica di questa città. Sogno ancora(e qualche volta è capitato) di incontrare, barcollando per le viuzze di questo posto infame, qualche cervello pensante, qualche anima anomala che in quattro e quattrotto ti snocciola due o tre considerazioni fantastiche in grado di ridarti il coraggio di organizzarsi, di farsi sentire, di credere ancora in questa umanità disumanizzata, irrimediabilmente votata all’indifferenza , un’ umanità senza memoria.

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