criminali.

http://www.corriere.it/inchieste/io-rinchiusa-un-manicomio-criminale-un-farmaco-la-malagiustizia/768cd1bc-c6b5-1

Una bellissima ragazza dagli occhi leonini, i capelli lunghi castani e un fisico statuario. La più bella, la più corteggiata del paese ma anche la più brava. Perché Natascia Berardinucci è anche un’infermiera professionale dell’Asl di Chieti, «una delle più brave», dicono i colleghi. «Lei sa come prendere i pazienti».

Per la Sanità italiana invece Natascia è una ragazza che ha scoperto presto il dolore sulla propria pelle: un Parkinson precoce che se non curato bene rende difficile ogni movimento. Alcuni luminari le prescrivono un medicinale a base di pramipexolo che lei inizia a prendere dal 2005. Ma nel 2007, dopo tre richiami dall’Enea (Ente Europeo del farmaco) la casa farmaceutica che lo produce è indotta a descrivere nelbugiardino anche alcuni effetti collaterali devastanti che interessano una piccola percentuale di pazienti (3-4%) intaccando in loro tutti quelli che sono i sensori dell’appagamento e della felicità. Nessuno però provvede a informare i pazienti che hanno preso quel farmaco dal 2005 al 2007 dei possibili rischi che può arrecare: shopping compulsivo, gioco d’azzardo compulsivo, ipersessualità e iperbulimia. Natascia rientra in quel 3-4% secondo Flavia Valtosta, farmacologa del San Raffaele di Milano. Si sveglia la notte per mangiare e per giocare al gratta e vinci on line. Arriva a perdere circa 40mila euro, diventa bulimica e aggressiva. Il compagno con cui programmava le nozze non capisce o finge di non capire cosa succede. La denuncia per maltrattamenti arriva in seguito a uno schiaffo di troppo: lui l’accusa di stalking, danneggiamento e lesioni. «Erano lesioni reciproche ma per la giustizia Natascia diventa una stalker da condannare. I giudici ignorano che la colpa principale di questi comportamenti violenti è un effetto collaterale del farmaco che lei prendeva» dice il suo avvocato Danielle Mastrangelo. Natascia viene sottoposta a 35 consulenze psichiatriche in 90 giorni, 7 perizie per pericolosità, di cui tre ordinate dal tribunale. Pur risultando tutte a suo favore (e benché incensurata), i giudici le rifiutano la sospensione della pena o gli arresti domiciliari. Cambia tre carceri in tre mesi. Per 23 giorni viene tenuta in isolamento dai parenti.

La giustizia italiana decide che tutto questo non basta.Natascia viene trasferita in un Opg, ossia un manicomio criminale. A Pisa le sbagliano la cura antiParkinson. «Le somministrano un altro medicinale che ha una durata di 21 giorni. Serve solo a tenerla ferma a letto – racconta sbalordito il papà Antonio -. Quando sono andato a Pisa a trovarla ho avuto paura. Nella sala colloqui ci è arrivata sotto braccio a due agenti carcerari, non riusciva a camminare o a portare il bicchiere d’acqua alla bocca». Mentre lo racconta, il papà ha gli occhi lucidi. Ha solo la forza di biascicare «…sono stati i giorni più brutti della mia vita, i più duri». Scuote la testa e si copre il volto.

Solo dopo 106 giorni di carcere i periti del tribunale di Sorveglianza accertano l’incompatibilità con il regime carcerario e la scarcerano. La decisione coincide anche con una manifestazione del padre di Natascia: per la disperazione si incatena al tribunale chiedendo giustizia per la figlia. Tuttavia i giudici la condannano anche in Cassazione per stalking. «Natascia viene considerata una persona violenta, diventano irrilevanti del tutto o quasi effetti del medicinale sui suoi comportamenti. Ne esce fuori un’immagine che stride troppo con quella reale» dice l’avvocato difensore. Ma soprattutto i giudici sembrano ignorare il dolore, l’umiliazione e la frustrazione provati da una ragazza che lavora – apprezzata da tutti – come infermiera e d’estate si reca in Africa per aiutare i bambini del Kenya, che fa volontariato presso la Croce Rossa, che «non ha mai fatto mal a una mosca» come la descrive uno dei suoi amici più cari. «All’improvviso si vede dipinta dalla giustizia come una carnefice».

Natascia tuttavia crede nella giustizia, quella con la maiuscola: rifiuta ogni patteggiamento con l’ex fidanzato; ripete «che non deve patteggiare niente perché non ha fatto niente». La giustizia italiana ritiene che il farmaco abbia solo esasperato uno stato di depressione avanzato. E lei oggi, ancora in piedi – pur di avere un po’ di giustizia dopo i tre gradi che l’hanno condannata – ha deciso di rivolgersi alla Corte suprema per i diritti dell’Uomo a Strasburgo. Nel frattempo ha in corso anche una maxi causa legale per risarcimento danni con la casa farmaceutica produttrice del farmaco «che mi ha tolto il sorriso per tutta la vita».

 

 

Questa voce è stata pubblicata in multipli di due. Contrassegna il permalink.